Al Sud serve ottimismo
“Ho fatto un viaggio nel vostro sud di recente. Mi ha impressionato il numero di giovani seduti sulle panchine. Mi sono informato: in quelle regioni il tasso di disoccupazione supera il 60 per cento“. Sono le parole in un’intervista a Repubblica del maggio scorso di Muhammad Yunus, bengalese Premio Nobel per la pace nel 2006, soprannominato “il banchiere dei poveri e “inventore” del microcredito.
Ed ecco la sua ricetta: “Bisogna incoraggiare i giovani. Spronarli a essere creativi. Io indirei un bando: per giovani disoccupati da almeno 5 anni. I più disperati, insomma. Gli farei proporre un progetto capace di dare lavoro anche agli altri. Finanzierei le 5 idee più belle, e via così ogni anno. Perché sono le piccole idee a fare la differenza…“.
Ora, tutto questo è vero. Ma la domanda è un’altra: una disoccupazione giovanile al 36,5 % (dati Istat di maggio 2016), con picchi al sud del 60%, è davvero un dato reale? Sulle panchine citate da Yunus ci sono davvero 4, 5, addirittura 6 giovani su 10.
E il lavoro nero?
E il lavoro in pizzeria al sabato sera (che in estate diventa il venerdì, il sabato e la domenica sera) spesso con contratti inesistenti o fittizi?
E il doposcuola e le ripetizioni?
E la giornata in campagna o a scaricare casse di pesci al mercato ittico o di frutta a quello agricolo?
E le ore in cantiere?
E chi va a “fare il ragazzo” dai tanti artigiani, fabbri, imbianchini, falegnami…?
E i mesi in ludoteca o alla “colonia” con i bambini?
La situazione al sud è nera. Nera per i dati, nera per tutto quel lavoro non regolamentato ma che esiste. Ed esiste perché molti datori di lavoro dicono di non potersi permettere di assumere un operaio: “Eh… e le tasse chi le paga poi?!”. Questo non è del tutto vero, alcune agevolazioni ci sono. Ma il sud è sordo e chi deve farsi ascoltare probabilmente non informa abbastanza, non controlla abbastanza, non tutela abbastanza.
Non si tratta di punire… ma di fornire gli strumenti giusti e adeguati per dare lavoro ai giovani senza però poi morire o vedere chiudere un’impresa. Questo è uno stereotipo, spesso una scusa che i datori di lavoro utilizzano per guadagnare qualche euro in più sulle spalle dei più giovani: “Se assumo te, chiudo io”, “Stai tranquillo che tra un po’ ti ingaggio”, “Devi fare prima un po’ di esperienza”, “Ma lo sai quanto mi costerebbe farti un contratto?”, “Che ti importa? Tanto la pensione non la avrai mai” e via così. Ma lo diceva già Einstein che è più facile rompere un atomo che un pregiudizio. E al sud, che è terra di tradizione e di forte radicamento, un pregiudizio, una prassi consolidata non si modifica in un giorno solo.
Ci vuole tempo, ci vuole coraggio, ci vuole speranza, ci vuole ottimismo. Perché, per dirla ancora con le parole del Premio Nobel Yunus: “L’ottimismo è essenziale: è la forza creativa che ti fa immaginare qualcosa dove non c’è nulla. E questo vuol dire che quando poi ti trovi a dover affrontare le difficoltà, hai già le idee chiare“.