Southworking, perché no?
Vedere il buono nelle difficoltà, trovare le opportunità anche nei periodi di crisi. È un’ottica valida anche col binomio lavoro e sud, in particolare con questa seconda ondata da Covid che ha permesso di coniare un neologismo: il southworking. Questo il tema del nostro Editoriale di Novembre.
Si tratta, infatti, dell’ultima frontiera dello smartworking: lavoratori fuori dagli uffici, basta un pc e una connessione per svolgere le proprie mansioni comodamente da casa.
E quando parliamo di casa può voler dire non soltanto essere operativi dal proprio appartamento, bensì una modalità di lavoro che può richiamare un vero e proprio ritorno alle terre di origine: il ritorno al Sud dei tanti emigrati da Roma in su per un ripopolamento del Mezzogiorno.
Un fenomeno che riguarda soprattutto i giovani under40, nella maggior parte dei casi professionisti molto formati e con una buona esperienza alle spalle che vedono il southworking come una formula per tornare alle loro città pur mantenendo il posto conquistato e il proprio ruolo.
Qualche numero? Sono circa 45.000 gli addetti che dall’inizio della pandemia lavorano in smart working dal Sud per le grandi imprese del centro-nord. Si tratta dei risultati di un’indagine sul South working, realizzata da Datamining per conto della Svimez su 150 grandi imprese, con oltre 250 addetti, che operano nelle diverse aree del Centro Nord nei settori manifatturiero e dei servizi.
“Il dato potrebbe essere solo la punta di un iceberg – sottolinea Svimez – Se teniamo conto anche delle imprese piccole e medie (oltre 10 addetti) molto più difficili da rilevare, si stima che il fenomeno potrebbe aver riguardato nel lockdown circa 100 mila lavoratori meridionali”.
Il capitolo del Rapporto Svimez è stato realizzato in collaborazione con l’associazione South working Lavorare dal Sud, in base ai dati dell’Associazione l’85,3% degli intervistati andrebbe o tornerebbe a vivere al Sud se fosse loro consentito e se fosse possibile mantenere il lavoro da remoto.
A guadagnarne la possibilità di un ritmo di vita meno frenetico e un circolo virtuoso in grado di mettere in moto le economie locali del meridione. Il south working può davvero diventare realtà, solo se però riuscirà a dotarsi di regole e protocolli che saranno necessari, una volta terminata la fase emergenziale legata al covid-19.