C’è da stare allegri… oppure no
C’è da stare allegri: la fase critica dell’emergenza Coronavirus è alle spalle.
Secondo Confesercenti 100mila imprese, solo tra bar, ristoranti, pizzerie e trattorie, sono a rischio chiusura definitiva. E qui c’è poco da stare allegri.
Le aziende tuttavia hanno riaperto e anche il turismo sta ripartendo. In fondo c’è da stare allegri.
I consumi sono al palo, le famiglie non hanno soldi, la cassa integrazione non arriva. E qui, di nuovo, c’è poco da stare allegri.
I contagi però, nonostante tutto, sono in continuo calo. Ci sarebbe da stare allegri.
L’Istat poi ci avverte che la fiducia di consumatori e imprese è a livelli bassissimi. Vuol dire che quando cittadini e imprenditori guardano al futuro, vedono nero. In effetti c’è poco da stare allegri.
Dopo due mesi di chiusura totale, dopo settimane di ottimismo a buon mercato, dopo giorni di orgoglio italiano da gridare ai quattro venti, siamo in una specie di terra di mezzo. In questo limbo qualcuno è allegro, qualcuno non proprio.
E anche il lavoro è in una fase di grandissima incertezza. Da un lato le imprese che chiudono e che di conseguenza licenziano (e non dimentichiamo che anche l’imprenditore diventa disoccupato). Dall’altra i concorsi ripartono, si riavvia il lavoro stagionale in alberghi e strutture turistiche, alcune imprese hanno ripreso a pubblicare annunci e ad assumere.
Siamo in piena crisi economica, una crisi economica e sociale senza precedenti. Mettiamo da parte gli entusiasmi sordi di chi è allegro, e mettiamo da parte il pessimismo cieco di chi non lo è. Tra qualche settimana, tra qualche mese sapremo cosa succederà e sapremo se ci sarà da stare allegri o meno.
E nel frattempo, buona festa della Repubblica.